I lavoratori dipendenti che hanno risolto consensualmente il rapporto di lavoro durante la pandemia potranno accedere, al termine della disoccupazione indennizzata, anche all’ape sociale e alla pensione anticipata con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci. Lo comunica l’INPS con il messaggio n. 4192/2023 pubblicato ieri.

I chiarimenti riguardano la facoltà prevista dall’articolo 14, co. 3 del dl n. 104/2020 (cd. decreto agosto) che ha consentito dal 15 agosto 2020 al 31 marzo 2021 – in deroga al divieto di licenziamento per motivi economici – di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con un incentivo all’esodo, in presenza di un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo è stato riconosciuta la Naspi, l’indennità di disoccupazione indennizzata, diritto che di regola non spetta nei casi di risoluzione consensuale. Il termine poi è stato prorogato al 30 giugno 2021 (31 dicembre 2021 per alcuni settori) come illustrato nella Circolare Inps n. 180/2021.

Sulla base di una interpretazione sistematica ed evolutiva delle norme in questione, l’Inps spiega, che ai medesimi lavoratori, al termine della Naspi, spetta pure, in presenza dei rispettivi requisiti, l’ape sociale (63 anni e almeno 30 anni di contributi) e il beneficio della pensione anticipata con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci.

Il documento precisa, infine, che il beneficio della pensione anticipata con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci in qualità di disoccupati spetta anche nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per «mancato superamento del periodo di prova» e per «cessazione dell’attività aziendale» al pari di quanto previsto in materia di accesso all’Ape Sociale.

Anche per questa categoria, inoltre, occorre accertare lo stato di disoccupazione consultando i competenti centri per l’impiego. Questa condizione si considera soddisfatta nei confronti dei soggetti che rilasciano la DID e che, alternativamente, non svolgono attività di lavoro autonomo o dipendente, oppure sono lavoratori con un reddito da lavoro dipendente o autonomo corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (cioè un reddito non superiore a 8.145€ per i dipendenti o 4.800€ per gli autonomi).