Lavoratori salvi dagli adeguamenti dell’età pensionabile alla speranza di vita ISTAT almeno sino al 31 dicembre 2026. Per la terza volta consecutiva, infatti, non ci sarà il programmato incremento della «speranza di vita» che sarebbe dovuto scattare il 1° gennaio 2025. Di conseguenza rimane invariata a 67 anni, come oggi, tra l’altro, l’età per la pensione di vecchiaia e per l’assegno sociale.

Il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 18 luglio 2023 pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale (G.U. 243/2023) che certifica una variazione Istat negativa della speranza di vita (-0,11 di anno, pari ad un mese), registrata dalla popolazione residente all’età di 65 anni corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2021 e 2022 e la media dei valori registrati negli anni 2019 e 2020. Siccome però per legge l’adeguamento dei requisiti per il pensionamento non può essere negativo (cioè non si può tornare indietro) il decreto cristallizza per altri due anni gli attuali requisiti.

Per i lavoratori la notizia è positiva perchè certifica che sino al 31 dicembre 2026 non ci saranno incrementi degli altri requisiti anagrafici e contributivi che attualmente non hanno beneficiato di alcuna sospensione per legge, in primis quelli per il pensionamento di vecchiaia. Per la pensione di vecchiaia sino al 2026 occorrerà, quindi, continuare a soddisfare un requisito anagrafico tondo di 67 anni (unitamente, di regola, ad almeno 20 anni di contributi). Per gli addetti ai lavori gravosi con almeno 30 anni di contributi che hanno acquisito uno sconto strutturale di cinque mesi sull’età pensionabile (dovuto alla sospensione dell’ultimo adeguamento scattato il 1° gennaio 2019) la notizia significa la conferma di un’età pensionabile di 66 anni e 7 mesi sino al 2026. 

Niente di nuovo, invece, per la pensione anticipata che con il Dl n. 4/2019 ha beneficiato dell’esenzione dall’applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita sino al 31 dicembre 2026: i requisiti contributivi resteranno pari a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, 41 anni per i cd. lavoratori precoci (questa prestazione, però, sconta dal 2019 una finestra mobile di tre mesi dalla maturazione dei requisiti). Pure per i notturni e gli usuranti che vanno in pensione con le vecchie quote di cui al Dlgs 67/2011 non cambia nulla: anche nei loro confronti il legislatore aveva già previsto la sospensione degli adeguamenti sino al 2026.