Il tasso di rivalutazione del montante contributivo da trasferire nella gestione accentrante non sarà più quello fisso del 4,5% l’anno ma coinciderà con il tasso di capitalizzazione dalla legge n. 335/1995 per il calcolo contributivo, cioè pari alla media quinquennale del tasso di crescita del PIL. E’ una delle misure previdenziali contenute all’interno del decreto legge lavoro approvato in un Consiglio dei Ministri straordinario il primo maggio. La novità debutterà a partire dalle domande di ricongiunzione presentate, sia con la legge n. 29/79 che con la legge n. 45/90, dalla data di entrata in vigore del decreto legge (ancora atteso in Gazzetta Ufficiale).
La modifica comporterà un aumento dei costi di ricongiunzione per i lavoratori perché da circa un ventennio il Pil cresce a ritmi stabilmente inferiori al 4,5% e, pertanto, la somma che si porta a scomputo dell’onere di ricongiunzione costituita, per l’appunto, dal montante dei contributi versati nella gestione trasferente sarà inferiore rispetto a quanto avviene attualmente.
La misura è accompagnata anche dalla possibilità di ricongiungere i periodi contributivi accreditati presso la gestione separata dell’Inps (attualmente esclusi). Sia in entrata che in uscita. Le somme trasferite, in tal caso, alimenteranno il montante contributivo ed il corrispondente trattamento potrà essere calcolato solo con il sistema contributivo.
Con tale intervento, pertanto, i termini di presentazione delle domande per l’APE sociale e per il pensionamento anticipato con requisito contributivo ridotto sono unificati al 31 marzo, 15 luglio e, comunque, non oltre il 30 novembre di ciascun anno, consentendo così, oltre al contemporaneo svolgimento dei monitoraggi previsti all’articolo 1, commi 186 e 203, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, volti a verificare la capienza delle risorse finanziarie riservate all’attuazione di tali prestazioni, anche un più tempestivo accesso al pensionamento per i lavoratori precoci in possesso dei requisiti richiesti.
All’interno del provvedimento c’è pure l’estensione del contratto di espansione sino al 31 dicembre 2025 in luogo dell’attuale scadenza del 31 dicembre 2023 fermo restando il limite minimo di cinquanta unità lavorative in organico anche calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione stabile di imprese con un’unica finalità produttiva o di servizi.
All’interno del decreto ci sono anche altre misure tra cui l’addio al reddito di cittadinanza sostituito dal 1° gennaio 2024 dall’assegno di inclusione e misure volte ad attenuare il cuneo sul lavoro dipendente. Manca però, ancora una volta, un ripesamento su Opzione Donna dopo il giro vite contenuto nell’ultima legge di bilancio.