La Corte Costituzionale ha depositato la sentenza già anticipata ad inizio anno con la quale ha dichiarato che le prestazioni familiari vanno riconosciute anche agli extracomunitari in possesso del permesso unico di lavoro.
La Corte spiega che la disciplina dichiarata incostituzionale lede il diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, tutelato dall’articolo 34 della Carta in connessione con l’articolo 12 della direttiva 2011/98 UE, che ha riconosciuto un insieme di diritti ai cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato per finalità lavorative o per finalità diverse, ai quali è consentito lavorare.
Il principio di parità di trattamento, si raccorda “ai principi consacrati dagli articoli 3 e 31 della Costituzione – si legge nella sentenza – e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi”. La tutela della maternità e dell’infanzia (articolo 31 della Costituzione), “non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli”. La Corte costituzionale ha escluso una ragionevole correlazione tra il requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, subordinato al possesso di requisiti reddituali rigorosi, e il riconoscimento di prestazioni che attuano la tutela della maternità e dell’infanzia, sancita dall’articolo 31 della Costituzione, e fronteggiano lo stato di bisogno legato alla nascita di un bambino o alla sua accoglienza nella famiglia adottiva.
E’ utile ricordare che il legislatore si era già conformato ai nuovi criteri con la legge n. 238/2021 riconoscendo, peraltro, il diritto all’assegno unico anche ai cittadini stranieri extracomunitari in possesso del permesso unico di lavoro di durata superiore a sei mesi. Si rammenta per completezza, infine, che il principio sancito dalla Consulta non si applica all’RdC nè al ReI.